sabato 30 maggio 2009

Il metrò

sabato 30 maggio 2009

L’annuncio riportava in grassetto dei requisiti singolari, cercavano qualcuno disponibile a viaggiare, buon camminatore e capace di orientarsi ad occhi chiusi. Non è che fossi certo di avere quelle qualità, piuttosto mi spinse la curiosità di scoprire di cosa si trattasse. Non c’era alcun numero di telefono o indirizzo a cui rispondere, era solo indicata una convocazione per le 17.30 di un giovedì presso il chiosco dei gelati nelle vicinanze della fermata Montessori del metrò. Questo fatto, ancor più strano del precedente, anziché farmi pensare che si trattasse di un qualche scherzo, accrebbe ulteriormente la mia curiosità.

Cercai sulla mappa la fermata, non l’avevo mai notata prima. Qualche volta ero sceso a quelle precedente, spesso a quella successiva. Male che vada, pensai, conoscerò una nuova zona della città. Così, alle 16.30 di un giovedì, uscii di casa. Mi vestii bene, ma sportivo, indossai degli occhiali da sole scuri e, con in mano il bastone da passeggio ricordo di mio nonno, partii alla volta del quartiere. Anche se la mia era solo curiosità, mi sembrava come di star andando ad un esame e, dato che non volevo fare brutta figura, decisi di valutare le mie peculiarità. Salutata la portinaia uscii per strada, l’esperimento era semplice, visto che potevo benissimo essere disponibile a viaggiare ed ero, senza dubbio, un buon camminatore, mi rimaneva di appurare se fossi anche in grado di orientarmi ad occhi chiusi. Così serrai gli occhi e feci qualche giro su me stesso. Via! Aiutandomi con il bastone individuai il muro del palazzo, era alla mia destra, direzione corretta, proseguire. Avendo spiato, spesso, i ciechi, sondavo l’aria a me intorno con il bastone e mi tenevo rasente al muro. Arrivai all’angolo e svoltai, nasceva un problema, adesso avrei incontrato le botteghe dei negozianti che, con le loro merci, invadevano spesso il marciapiede. Dovevo abbandonare il muro per evitarle. Allora mi spostai di qualche metro e iniziai a camminare lentamente. Sentivo i rumori della città intorno a me.

Auto, tram, una bicicletta, frena, suona il campanello. Una signora parla con la voce infantile, spiega ad un bambino, no, una bambina, che se la maestra ha detto così vuol dire che… Cammino, un clacson, da un citofono, chi è? Sono io, ovviamente. Una voce familiare saluta un tale, salve dottore, sì, è la voce macellaio, caspita ho fatto già un bel po’ di strada. Qualche altro passo e un turbine di odori mi prende. Profumi freschi, frutta, albicocche! È il fruttivendolo! Devo ricordare di comprare le albicocche al ritorno. Se sono al fruttivendolo allora sono arrivato al semaforo. Aspetto. Non so se è verde o rosso. Ma io aspetto. Dopo un po’ si sente un rumore, un cicalino, sì è il segnale per i ciechi. Ecco, però, cavoli, adesso non so se il cicalino suona quando è verde o quando è rosso. Cavoli, cavoli. Rifletto, ascolto. Sento l’aria muoversi accanto a me, persone che mi sfrecciano accanto, sarà verde? Non sento macchine passare davanti a me, sarà verde. Passo. Il segnale aumenta di velocità, mi affretto, ho raggiunto il marciapiede, sono vivo, sorrido. Sento dei phon, il parrucchiere. Odore di pane, il panificio. Nessun suono e nessun odore, la banca. Oh che meraviglia, il gelsomino mi avvolge, è sbocciato finalmente! Al ritorno lo ammirerò, il fiorista. Qualche altro passo e non sento più niente, cosa c’è dopo il fiorista? Non ricordo. Continuo a camminare e non so più dove mi trovo, diavoli, mi devo concentrare. Finalmente sento qualcosa, un odore, mi fermo. È un odore noto, ma non comune, sa di qualcosa di plastico, forse di gomma. Lo conosco, cos’è? Ma sì! Sa di scarpa, di scarpe nuove, il negozio di scarpe. Qualche metro e un nuovo incrocio, passo svelto, supero il bar, l’enoteca e il libraio, finché l’odore di kebab mi dice di essere arrivato, vincitore, alla fermata del metrò. Apro gli occhi e scendo.

Sul metrò c’è gente di ogni sorta, odori dei più strani e rumori degni dei migliori libri di fantascienza, basta chiudere gli occhi un attimo e inizia una nuova avventura, ma dato che avevo fatto tardi, non mi abbandonai ad altri interessanti esperimenti. Me ne stetti concentrato bene stretto al passamano, tenendo l’occhio alla fermata per evitare di perdermela. Le fermate passavano, ad una ad una, e dato che ne mancavano ancora un po’ e il vagone era quasi vuoto decisi di sedermi. Solitamente resto in piedi, mi piace sentire le vibrazioni del convoglio, contrastare le sue accelerazioni e le sue curve, spostarmi di tanto in tanto per cambiare punto di vista, ma quel giorno volevo solo aspettare la mia fermata, dunque, da seduti, si aspettava meglio. Giunto a Montessori scesi, non c’erano altri passeggeri e la stazione era proprio deserta. Cercai l’uscita a feci le scale rapidamente. Sbucato in superficie mi ritrovai dinnanzi ad uno spettacolo, forse, mai visto.

Mi trovavo in un'enorme piazza, era buio, ma i lampioni illuminavano flebilmente qua e là. C’era un’enorme testa di granito distesa su una guancia e due obelischi egizi aprivano la via per un sentiero che si addentrava in una selva. Da un lato una vasta area era ricoperta di libri dalle copertine colorate, alcuni erano aperti, altri chiusi, altri impilati. Alle mie spalle dei grattacieli si affiancavano, lasciando tra essi uno spazio sufficiente per far passare al più una sola persona, visto da fuori sembrava un enorme labirinto. Un lupo grigio riposava sul ramo di un albero che sbadigliava visibilmente. Ad un altro ramo era legato un capo di una amaca, l’altro capo era tenuto in mano da una guardia londinese altissima. Sull’amaca se la dormiva della grossa un uomo grassissimo, di spalle. Mille altri oggetti e creature riempivano la piazza e ognuna di esse aveva qualcosa di familiare. Mi guardai attorno e trovai il chiosco dei gelati. Mi avvicinai, non c’era nessuno. Controllai l’ora, le 17.25, sono in anticipo. Aspettai cinque minuti osservando la città, meno male che il mio quartiere è più… normale, pensavo. Alle 17.30 in punto vidi spuntare dalla fermata del metrò un signore bassino con una tuta da lavoro e un cappellino. Portava degli occhialetti e reggeva sottobraccio una cartellina. Si avvicina e mi porge la mano, salve, mi dice, sono felice sia venuto.

Quando abbiamo fatto l’annuncio pensavamo di aver risolto questo piccolo inconveniente, dice, ma in realtà non ci eravamo accorti di esserci in mezzo tutti, dall’ingegnere capo al macchinista. Il lavoro è semplice se lei possiede i requisiti indicati nell’annuncio. Io rispondo che, da una buona mezzora sono certo di possederli, ma ancora non ho afferrato bene di cosa si tratta. Bè, dice lui, noi siamo il team di sviluppo della metropolitana, stiamo testando una nuova linea rapida che permetterà di raggiungere una piazza o una via anche se non si trova nella stessa città di partenza. Mi spiego meglio, lei ad esempio oggi ha preso la metro nel suo quartiere, poi è sceso alla fermata Montessori, in realtà sarebbe dovuto arrivare non alla piazza Montessori della sua città ma alla piazza Montessori di Roma. Cioè, ovviamente piazza Montessori non esiste né nella sua città né a Roma, ma l’abbiamo inventata per scopi di test. Capisce? Non proprio.
Mi spiega che tramite questa metro rapida potranno unire tutte le metro delle città italiane in un'unica grande metropolitana, basterà scendere alla fermata giusta! In questo modo tutte le grandi città italiane potranno cooperare e divenire una grande unica città. Così, ad esempio, la massaia torinese potrà andare a comprare la mozzarella a Napoli e poi le alici a Genova, l’imprenditore milanese potrà incontrarsi col ministro a Roma e dopo venti minuti con un cliente a Catania.
Capisco. Però abbiamo ancora un piccolo problemino, dice, per questo ci serve qualcuno che faccia i test. E quale sarebbe il problemino? Chiedo io. Vede, il fatto è che adesso sì, ci troviamo a Roma, ma nella Roma dei suoi sogni. Nel senso che arrivati alla fermata rapida ci si addormenta e si continua sognando. Io ho un sussulto. Cioè mi sta dicendo che siamo in un mio sogno? Tecnicamente sì, ma anche no. Cioè adesso stiamo condividendo lo stesso sogno, infatti, come può notare quel leone con due teste non appartiene al suo subconscio, è un mio sogno ricorrente. Abbiamo ragione di credere che il problema sia quasi del tutto risolto, ma occorre qualche altro test per esserne certi. Bene, dico io tagliando corto, ci penserò, ma adesso vuol dirmi come faccio a tornare indietro. Ecco, appunto le dicevo, i tre requisiti. Bé, ecco vede, lei sta dormendo probabilmente sul sedile della metro, adesso lei dovrebbe vagare nei suoi sogni in cerca di, diciamo se stesso, così da riprendere il controllo e svegliarsi. Se ci pensa un attimo è un’operazione semplice, lo facciamo tutte le mattine, soltanto che orientarsi nei propri sogni da cosciente è ben più complicato. Io so esattamente che per svegliarmi devo semplicemente infilare la mia testa nella bocca del leone di destra. Lei dovrà trovare la sua strada. Bene, con questo la saluto, mi raccomando però, ci faccia sapere cosa ha deciso! Così dicendo si avviò e, una volta infilata la sua testa nella bocca del leone di destra, svanì portandosi dietro anche i suoi sogni, il chiosco dei gelati e la fermata del metrò.

Iniziai a camminare nel mio sonno in cerca di un odore, un suono, un qualcosa che mi riportasse in me, maledicendomi duramente e imprecando contro il destino che, un’ora prima, non mi aveva fatto mettere sotto da una macchina mentre attraversavo come un folle la strada ad occhi chiusi.

6 commenti:

  1. Io piuttosto che farmi aggredire dal mio uomo nero, prendo l'autobus. :)

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  2. Ma no! Basta scendere alla fermata giusta! E poi, se ti addormenti, ti proteggo io!

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  3. Immagino che questa sia una tua fantasia successa mentre dormivi in metropolitana pensando sul fatto che volevi arrivare subito a casa dato che avevi sonno...Da bravo ingegnere ti sei creato i tuoi problemi su come potesse funzionare e date le tue difficoltà nel svegliarti...

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  4. Io non avevo letto... la tua risposta...
    mi proteggi tu...
    è vero. :)
    Allora fammi un po' di spazietto... e speriamo che non salga una signora col pancione!

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  5. In caso ti porterei in braccio mentre ronfi... : )

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ilcyrano