lunedì 25 gennaio 2010

La zia Lillina

lunedì 25 gennaio 2010
Quella domenica faceva fresco. Per tutte le feste aveva fatto bello, ma ormai il cielo s’incupiva di nuvole e il sole scaldava a fatica. In auto però si stava bene e la giornata sembrava ugualmente una giornata domenicale, anche senza il sole. Sì perché da queste parti se la domenica non fa bello la gente si offende. E’ un affronto, una domenica con i nuvoloni! Che porcheria! Io sorrido, dovrebbe viverlo un po’, la gente di qua, il tempo che fa nella grande città. Magari si offenderebbe meno se il sole ogni tanto decide di riposarsi un po’.

Andavamo a trovare la cugina Lena e la zia Lillina, in paese. Mentre guidavo, ripensavo a quando eravamo bambini, io e Lena giocavamo in campagna e correvamo giù dal colle verso la valle, a grandi balzi sprofondavamo i piedi nella terra arata inzaccherandoci tutti e non ci fermavamo prima di giungere in fondo. Poi di filata correvamo fino alla gebbia e importunavamo le povere oche fino a sera, finché la voce della zia Lillina, dal balcone, lontano, ci intimava di ritornare.

Che bello essere di nuovo qui, seduto su questi divani, in questo salotto pieno di cose. Lena ci serve il té, com’è cambiata. Anche Zia Lillina è cambiata, è cambiata moltissimo, è anziana e non ci sta più con la testa. Lena bada a lei tutto il giorno, ci racconta che la zia si è chiusa nella sua stanza, in lacrime. Si duole perché Arturo, il suo grande amore, è partito per la guerra stamane. Lena ride mentre ce lo racconta, io non ci riesco. Prima di sposare lo zio, pare che la zia avesse amato questo Arturo e, chissà per quale motivo, oggi riviveva i momenti di quell’amore.

Chiacchieriamo del più e del meno sorseggiando il tè, io le racconto della grande città, dei suoi cento grattacieli, dei suoi mille negozi, dei milioni di persone che ogni giorno la vivono. Lena ci ascolta, fa qualche domanda, poi prende un tovagliolo di stoffa ricamata e si pulisce le labbra. Io la guardo e per un attimo smetto di raccontare, osservo il suo volto, la sua gicchetta di lana bianca e la sua gonna a costine. Poi osservo la stanza, con i suoi tappeti colorati e le sue tende ai finestroni di legno, i quadri a olio, le fotografie, la coppia di etagere ai lati della porta, tutti quegli strani soprammobili che da bambino catturavano la mia curiosità.

Sembra che nulla sia cambiato, a parte me, forse. Ahh! Un grido irrompe nella stanza. Ahh! Urla la zia Lillina. Che pena! Erano già quattro mesi che non scriveva, che pena che avevo, ma oggi è arrivata questa! Che pena che ho avuto… Ci mostra una lettera, la stringe al petto, la carta è ingiallita e la calligrafia è d’altri tempi. Lena balza in piedi, mamma! Dove l’hai presa? Dove la tenevi? Ma la zia non ha occhi che per la lettera, cade su una poltrona con le braccia in avanti, la gonna le si riempie d’aria e poi lentamente si sgonfia. Inizia a leggere la lettera. Gli occhi le brillano, tiene la bocca socchiusa e d’un tratto scoppia in lacrime. Sta bene! Dice che mi manderà una fotografia. Dice che più d’ogni altra cosa il suo cuore è in pena per me! Ohh Arturo mio… Mamma! Fa Lena. Mamma, calmati, non hai visto chi c’è? Hai visto chi ti è venuto a trovare? Mamma? Ma la zia Lillina, felice come una bimba, non ha orecchie che per le parole della lettera mentre la rilegge sussurrando. Balza in piedi e va via. Felice come non l’ho veduta mai.

Lena ci chiede scusa, ma mi sembra di dover chiedere io scusa poiché lei sente di chiederne a me. Lena ci racconta che prima di stamattina non aveva mai sentito parlare di questo Arturo e che non era sicura che fosse esistito. Però quella lettera, Lena non ne conosceva l’esistenza, chissà dove la teneva nascosta. Però è strano, ma che fine avrà fatto quest’Arturo. Di certo lo zio non ne sapeva nulla, a quei tempi era sconveniente che dopo un fidanzamento ne seguitasse un altro. Poi in paese. Chissà se quel pover’uomo…

Si ode uno sparo. Poi più nulla. Si ode uno sparo dalla strada. Balziamo alla finestra, ma per strada non c’è anima viva. Tutte le imposte sono chiuse, i negozi sono sprangati. Suonano alla porta. Ci guardiamo perplessi. Nessuno si muove. D’un tratto la porta del salotto si spalanca e zia Lillina entra di corsa. Si precipita alla porta, urla, chi è? Lettera per lei signora! Apre la porta e strappa dalle mani del soldato la busta. Chiude la porta senza salutare né ringraziare. Inizia a leggere, il suo volto si contrae, le sue labbra si stringono e le sue palpebre tremano. Noooo! Urla! Cade in ginocchio con la bocca aperta, è il volto del dolore, per un qualche secondo o forse per una vita non si sente nulla, poi un lamento tremendo squarcia ogni orecchio e ogni cuore. Urla, piange, picchia per terra, poi si calma, riguarda la lettera, poi urla di nuovo. Il suo volto è pieno di lacrime, trema. La povera zia si raggomitola per terra e strappa a metà la lettera. E’ morto! Farfuglia. Me l’hanno ammazzato.

Mentre tramonta, i fari della mia auto illuminano le strade, sempre le stesse, da anni. Non riesco a smettere di pensare alla povera zia Lillina che oggi ha perso la sua cosa più cara, il suo grande amore Arturo, piangendolo per la seconda volta.

1 commento:

  1. a me la storia della zia lillina mi è piaciuta proprio un sacco!

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ilcyrano